Carissima lettrice,
Cosa vuoi che ti dica? Avevo da fare gli esami, da lavorare, esattamente come te, che probabilmente, esattamente come me, avrai ancora esami da fare e lavoro da lavorare, con in più il sentore diffuso che sia assurdo fare le cose da fare con una guerra mondiale in atto.
Spesso mi chiedo che cosa diranno di noi sui libri di storia del futuro, ma, anche loro, cosa vuoi che dicano?
“Mentre in Medio Oriente si consumava un genocidio e la Nato si autocosegnava al presidente Trump, gli intellettuali europei continuavano a scrivere newsletter, montare accuse alla scuola Holden e dibattere sulla sostenibilità di tour editoriali da parte di scrittori di fama medio-bassa”.
Poi, forse, ci sarà un trafiletto, di quelli che nessuna prof spiega mai perché non c’è tempo di finire il programma canonico, figurati gli approfondimenti, che parlerà di una certa STC Edizioni, che continuava a fare tour insostenibili, fingeva di snobbare la Holden (rosicando di non essere stati invitati alla loro festa durante il Salone del Libro), portava avanti un progetto di Editoria Malvagia continuando a fare cose inutili e assurde, come sono inutili e assurde tutte le cose fatte in tempi di guerra che non siano la guerra alla guerra stessa.
Diranno anche che quella casa editrice lì, a differenza delle altre, si faceva dei gran pianti quell’estate terribile del ’25. Piangevano perché finivano gli esami della magistrale e Giulio, per la prima volta, pensava a un piano B oltre a STC, e Fabrizio piangeva perché in effetti sarebbe sprecato a fare lo scienziato uno come lui, nato per fare il poeta, piangeva ACB, di gioia, per aver avuto il coraggio di cambiare le carte in tavola della sua vita, piangeva Tommaso, anzi, non piangeva perché lui non piange, piangeva Alessandro, lì giù a Pantelleria, per il caldo e per la bellezza, infine piange Ludovico, che vuole girare un film sulla Resistenza nel 2035 che è nato da un’idea di fantasia e si sta rivelando profetico… piangiamo tutti, per motivi stupidi rispetto a quello che succede di grosso nel mondo, come piange tutta l’umanità dolente nei secoli di sempre: sulle cose piccole quando può, sulle cose grandi quando deve.
Una ventina di giorni fa abbiamo pianto a dirotto in un teatro pieno di bambini che ridevano. Eravamo alla Piccola Invasione, festival che grazie alla nostra Marianna Doria ci vede sempre coinvolti nell’inventarci un paio d’ore di laboratorio di scrittura per i bambini di Ivrea e per presentare l’ultimo Turchese. Quest’anno c’era questo scopo principale ma io, stronza egoista, avevo un altro obiettivo, assolutamente personale e teso a nient’altro che l’accrescimento del mio ego: un selfie con Andrea Staid da mandare alle mie amiche dell’università.
Andrea Staid è infatti un antropologo che ce l’ha fatta, uno che fa il divulgatore, che scrive libri che non vende solo ai suoi alunni della NABA, che dirige una collana editoriale, che intervista l’antropologo protagonista del dibattito del momento (e della mia tesi), e francamente è pure sexy, perché le grazie, come i guai, non vengono mai da sole.
Insomma, avevo questo scopo carsico in me, e progettavo di presentarmi e arrivare semplicemente a lui, che dicesse una di quelle frasi di rito che si dicono alle fangirl come me, in ambienti come questi: «Dai, teniamoci in contatto, facciamo networking».
Arrivati a Ivrea, quindi, le mie antenne erano rivolte solo a questo e, sfacciatamente, ho coinvolto Giulio, Fabrizio e Marianna in questa caccia al “VIP”. Al punto che l’impresa è riuscita nelle prime ore di presenza a Ivrea. Allego vergognosa prova.
Fatto sta che ormai avevo trascinato tutti in questo vortice di euforia antropologica al punto da ritrovarci a cenare con un simpatico signore dalla barba bianca che abbiamo beatamente non cagato tutta la sera, roba che se ci fossero stati i nostri genitori ci avrebbero sgridati in malo modo.
E così ce ne siamo andati a presentare Turchese dalla nostra amica della libreria Didattica Più, e abbiamo firmato delle copie, ci siamo divertiti, per un attimo ci siamo addirittura illusi di essere gli Andrea Staid di qualche signora del pubblico. Ma il vecchietto dalla barba bianca aveva in serbo una vendetta per noi scostumati, una vendetta che non ci saremmo mai aspettati.
I pianeti dell’organizzazione infatti ci hanno regalato un altro pasto insieme a lui, appena dopo un suo evento in cui declamava delle bellissime filastrocche, insieme al creatore di @unaparolalgiorno. Rispetto alla sera prima mi ero messa l’anima in pace: il sexy antropologo non aveva ricambiato il mio follow su Instagram, della mail nemmeno l’ombra, il mio egomostro era tornato allo stato normale di semplice sindrome dell’impostore in vacanza con i propri amici.
E così, tra un morso a un hamburger vegano e l’altro scopriamo chi era quel vecchietto, senza hype e non particolarmente sexy: eravamo seduti al tavolo con Bruno Tognolini.
E voi direte, per citare Fabrizio Pelli, «Chi cazzo è Bruno Tognolini?», ebbene, signori, Bruno Tognolini è l’autore dei nostri ricordi d’infanzia, la mente che ha inventato La Melevisione.
E così tra una patatina fritta e l’altra, abbiamo ricevuto una delle lezioni più indimenticabili della nostra vita. E dico indimenticabili perché è stata netta l’impressione di star vivendo qualcosa che avremmo ricordato. E infatti la conversazione è andata più o meno così:
Bitta: «Ma scusi, Bruno, quindi lei è l’autore di quella puntata in cui Tonio Cartonio “spiegava” cos’erano le molestie?»
Bruno, con il sorriso soddisfatto che svelano solo gli scrittori quando quello che hanno scritto non merita il rogo, ci ha detto che con la redazione della RAI si erano inventato questo pacchetto di “puntate sfigate” in cui si erano riproposti di spiegare la morte, le molestie, i divorzi e altre cose brutte. Fatto sta che il progetto era riuscito, ai tempi in cui si poteva essere autori e dipendenti pubblici, per offrire un prodotto culturale di qualità a tutti.
Bruno: «All’epoca io potevo fare quello che faccio oggi per tutti i bambini d’Italia, non solo per quelli privilegiati come i bambini che frequentano festival come questi… e sono stato uno dei pochi autori ad andarsene con le proprie gambe nel momento in cui le amministrazioni sono cambiate, e non i bambini, come invece si dice ultimamente».
Giulio: «Però programmi come la Melevisione sono invecchiati molto bene, noi tutti ce ne ricordiamo pur essendo stati gli ultimi bambini a vederli».
Fabrizio: «Ultimamente è tornata virale sui social proprio la filastrocca sulle molestie».
Ed è qui che avviene la magia: Bruno Tognolini mette giù l’hamburger, una rapida passata di fazzoletto sulle labbra e recita a memoria, solo per noi, proprio quella filastrocca che un tempo avevamo sentito tutti insieme incantati dalla voce di Tonio Cartonio.
Ho nascosto quella cosa in fondo a me
perché se non la vedo lei non c’è.
Non ne parlo per non essere più triste
perché se non la dico non esiste.
Ma laggiù in fondo a me nel buio denso
anche se non la vedo io ci penso
e lei beve quel buio come inchiostro
e cresce sempre più, diventa un mostro.
Ma io so cosa ai mostri fa paura:
il sole che taglia in due la notte scura.
Apro la mia finestra a questo sole
ed apro la mia bocca alle parole.
Ne parlo con la mamma, con l’amico…
tu mi spaventi Mostro ed io… ti dico!
E tu ti scogli in un po’ di porcheria.
Mi dai un ultimo morso e fuggi via.
Mi rimane una bella cicatrice
Dove è scritto:
“Mostro morde, uomo dice!”
E così, ci sono rimaste in gola una serie di patatine e parecchie lacrime e una pelle d’oca che nessun Andrea Staid ci avrebbe mai provocato. Fu così che quel pomeriggio ci imbucammo al suo spettacolo, noi tre e un centinaio di seienni. Lasciammo andare le lacrime trattenute, là in prima fila, con l’impressione atavica che, ieri Tonio Cartonio e oggi Bruno Tognolini, parlassero solo e unicamente a noi. Ci siamo praticamente sciolti sulle poltrone per due motivi: le lacrime e il fatto che coprissimo la visuale dei bambini, però ci siamo alzati per primi e abbiamo scavalcato tutta la fila per abbracciare quel vecchietto là e crogiolarci in quel sorriso che diceva “Aaaaaah, i miei bambini di città laggiù!” mentre abbracciava noi, asini vecchi con evidenti traumi irrisolti
Dopo lo spettacolo ci siamo presi un gelato, tentando di tappare i buchi dei nostri fanciullini irrisolti e abbiamo capito che l’obiettivo deve essere questo: fare un pop buono, essere popolari nel senso letterale del termine, arrivare a tanti, senza compromessi, senza mainstream, con semplice qualità.
Negli ambienti culturali c’è sempre il rischio di fare “i nicchioni”, barricarsi in un angolo e guardare dall’alto in basso tutti gli altri, profondamente convinti di essere gli alternativi, la specie in via d’estinzione da salvaguardare. Vogliamo cambiare prospettiva e non ce ne dobbiamo vergognare: noi gli “indie” non vogliamo farli per sempre. Vogliamo essere indipendenti nel senso profondo del termine, sì, ma vogliamo che ci leggano i ragazzi durante le vacanze costretti dai loro prof, vogliamo che ci leggano i prof, le mamme, la signora sotto l’ombrellone e l’universitario nei suoi bar, vogliamo arrivare a tutti perché ci piacciono tutti, e perché speriamo di cambiare anche quelli che non ci piacciono. Sì, vogliamo essere la cazzo di Economica Feltrinelli con due titoli a 9,99 euro, ma meglio. Vogliamo essere quelli che invitano a tutte le feste, anzi, quelli che invitano tutti alla propria festa, anche la signora del quinto piano, anche Paolo di Paolo, anche i nicchioni, anche i booktoker, anche i nerd, anche la Holden, Tlon e chi odia la Holden e Tlon, vogliamo che Giampiero ci compri in libreria perché lo ispirava la copertina, e che zia Pina ci regali alla nipote preferita. Vogliamo essere POP, non ci interessa avere lettori fanatici, sette di gente che ci pasce da sola, vogliamo essere Popolari, come la Melevisione, il gelato e gli hamburger.
Vogliamo piangere nella ricerca del senso di quello che facciamo, continuando a farlo, nella speranza che la Storia sia clemente con noi, e con tutti. Ce la dobbiamo fare.
In bocca al lupo a noi tutte, anzi, in bocca a Lupo Lucio.
Benedizioni bipolari,
Benedetta Marinelli
Hai letto “Questa Benedetta Newsletter!”, di STC Edizioni, a cura di Benedetta Marinelli, se ti è piaciuta puoi mandarle una Galatina presso Largo Camesena 16, Roma (RM) 00157.
"Andrea Staid è infatti un antropologo che ce l’ha fatta, uno che fa il divulgatore, che scrive libri che non vende solo ai suoi alunni della NABA, che dirige una collana editoriale, che intervista l’antropologo protagonista del dibattito del momento (e della mia tesi), e francamente è pure sexy, perché le grazie, come i guai, non vengono mai da sole." BENEDETTA bambina, adoro leggere la tua newsletter (simbolo del cuore che ora da tastiera non mi viene perché sto invecchiando male e non ricordo più i codici ASCII a memoria, soprattutto quelli dei simboli inutili).
Alla prozzima :-*
Tutto bellissimo!