#8 | Nonni semper certi sunt
Antropologicamente nonni, il nostro nuovo romanzo, la parola a Marco Angelini
Care lettrici e cari lettori,
avete mai pensato al fatto che i nonni siano i nuovi neonati?
Arriviamoci per gradi: a livello sociologico, antropologico e statistico, i dati parlano di un progressivo e inevitabile invecchiamento della popolazione. Qualcuno lo chiama, in maniera molto evocativa, “inverno demografico”.
Partendo da questo presupposto sorvoleremo quindi sui problemi economici, politici e sociali che la mancata riproduzione della specie sta generando e ancor di più sulle cause di una situazione del genere, poiché non credo serva questa benedetta newsletter a ricordare perché non sia una scelta saggia mettere al mondo dei figli nel 2024.
Questa prospettiva, un po’ alla trono di spade, ci catapulta in un paesaggio oscuro, freddo e avverso, che potrebbe essere tanto un utero e tanto la città degli Stark prima dell’invasione dei non-morti.
Ma nel villaggio già evacuato brilla una finestra e da un camino esce del fumo. Ci avviciniamo.
Si intravede una persona, una poltrona. Facendo più attenzione ci accorgiamo che nell’aria effettivamente c’è un profumo familiare, come una torta di mele, e man mano che ci appropinquiamo all’unica casa non abbandonata veniamo travolti dai decibel di una tv: a tutto volume la voce di Flavio Insinna declama l’Eredità.
Quella casa è la casa dei nostri nonni. I sopravvissuti, letteralmente i non (ancora) morti.
Dark humor a parte, l’invecchiamento della società degli ultimi decenni accende i riflettori sui nostri nonni.
Tutti abbiamo dei ricordi dei genitori dei nostri genitori, anche se non li abbiamo conosciuti.
Matriarche, indefessi lavoratori, dispensatori di citazioni, nutrici e primi datori di mance (mai tirchie): i nonni hanno spesso in sé l’identità clanica della famiglia. E noi Millennials / Gen Z lo sappiamo perfettamente.
Siamo nati nel periodo in cui i nostri genitori, per primi, si ritrovano una legge nuova di zecca, votata dai loro genitori: la legge 889 nel 1970 infatti sanciva la possibilità di divorziare. Per questo, nel rush caotico delle separazioni, più o meno consenzienti, più o meno drammatiche, più o meno pacifiche, molti di noi hanno vissuto delle circostanze familiari in cui i nonni erano più certi dei genitori.
Dagli anni ‘80 in poi, inoltre, le nostre infanzie sono state caratterizzate da un altro fattore sociologico: l’emancipazione femminile, che portava le nostre mamme fuori dal nido, a lavorare e realizzarsi fuori dalle mura di casa nostra.
Tutte cose bellissime, che però per noi sarebbero potute essere (e purtroppo per qualcuno lo sono anche state) devastanti… se non avessimo avuto i nostri nonni.
“Nonni semper certi sunt”, avrebbero dovuto scrivere sui loro stipiti negli anni in cui si reinventavano più che baby sitter, dei veri e propri vice-genitori.
Se le vostre costellazioni familiari vi permettono di essere zii in giovane età, noterete nei vostri genitori una precisa sintomatologia, a tratti preoccupante: con i nipoti sfodereranno una tenerezza che, francamente, a voi non hanno mai dimostrato, saranno divertenti, affabili, faranno di tutto per conquistare i pargoli, si emozioneranno ad ogni vagito e ogni cacca, per non parlare dell’orgoglio con cui decanteranno ogni minimo traguardo del nipote cresciuto, applaudendo sfegatati al 10 in matematica sulla pagella di terza elementare, sbolognando con un sufficiente “potevi fare di più” il vostro sudatissimo 30 dell’ultimo esame.
Li osserverete mentre coccolano senza pietà il frutto del ventre dei vostri fratelli e/o sorelle e vi chiederete se stiate assistendo alla versione live della tenerezza che hanno riservato a voi bambini, e che, ora, non ricordate più.
Ha abbracciato anche me così? Ha fatto quella stessa faccia buffa per farmi ridere, ventitré anni fa?
La risposta è no.
Perché erano troppo impegnati a impartirci l’educazione, a lavorare o a chiedersi se lasciarsi andare alle coccole ci avrebbe resi viziati inconcludenti.
Per fortuna, però, come i nostri nipoti (pochi) hanno i nostri genitori, noi abbiamo avuto i nostri nonni.
Custodi del focolare, nelle case che spesso sono diventate letteralmente le nostre, siamo cresciuti educando il nostro “cute response” a rispondere anche alle facce raggrinzite dalle rughe.
Per chi non lo sapesse il cute response è una reazione istintiva di tenerezza e protezione verso connotati considerati “carini”, allo stesso tempo la cuteness è una “innate releasing mechanisms” for instinctual caregiving behaviours. Insomma, i cuccioli di ogni specie abbindolano gli adulti a farsi amare tramite un cocktail di guanciotte, nasini e occhioni per scatenare in loro un istinto di difesa che li protegga e li ami.
Ed eccoci arrivati al perché i nonni sono i nuovi neonati.
Perché scatenano in noi lo stesso istinto che siamo abituati a dedicare ai cuccioli, nella mancanza dei quali e anzi, della piena romanticizzazione della nostra infanzia perpetua (dato che diventare adulti è tremendamente più difficile), i nonni si prestano benissimo a diventare i ricettacoli di tutto il nostro amore.
Si parla molto di strumentalizzazione dei bambini sui social, dello sharenting, dello sfruttamento del cute response social a fini commerciali sulla pelle liscia e vellutata dei piccoli ma si dovrebbe parlare anche di tutti i nonni ingiustamente incarcerati nei feed di tantissimi influencer che capitalizzano i loro nonni sfruttando il nostro attaccamento generazionale a loro.
Nonni simbolo, nonni valore, nonni casa, nonni ricordo.
Le prime esperienze di lutto sono spesso legate a loro, quelle di nostalgia anche.
La nostalgia di un tempo della nostra vita che li ha visti protagonisti e la nostalgia nell’ascoltare da loro ricordi che pur non avendo vissuto sentiamo nostri solo per averli ascoltati da loro.
Ed è facile, oggi, vivere un paradosso riguardo alla memoria, alla memoria persa.
L’invecchiamento collettivo infatti porta con sé malattie che prima facevano più fatica ad essere vissute e tutti noi abbiamo, o abbiamo sentito da altri, ricordi legati alla perdita di ricordi dei propri nonni.
Spesso fanno ridere, spesso fanno piangere.
Rappresentano un’insenatura particolare di questi tempi, un anfratto ombroso in cui si concentrano tanti ricordi e tanti sentimenti, sparsi in disordine da chi man mano dimentica e puntualmente ricollezionati da chi ricorda ancora.
Il nostro prossimo romanzo, in uscita lunedì 1º giugno, parla di questo. Si intitola Wilmo, ricorda e ricompone il mosaico sentimentale di anziano mentre si perde in pezzi e perde punti… ma non tutti. Marco Angelini racconta le storie di Wilmo, che è un vecchio, un nonno e, soprattutto, un lettore.
Siccome amiamo fare cose che non possiamo permetterci abbiamo deciso di aiutare l’immaginazione dei nostri lettori, qualora foste anche voi un po’ troppo avanti o indietro con l’età, con delle meravigliose illustrazioni a cura di Livia Tagliaferri. Sarebbe bellissimo se leggere Wilmo fosse per voi allo stesso tempo un’esperienza, allo stesso tempo, di anzianità e infanzia.
La tenerezza e la bellezza di questo romanzo è prorompente e, continuando io a non essere capace di dire di meglio sui libri che mi piacciono, lascio la parola all’autore.
Ciao Marco! Eccoci qua, già seduti sul nostro divano immaginario (stavolta l’intervista avviene via audio su Wapp, n.d.a.). Andiamo dritti al punto: Wilmo è un nonno. Un nonno in particolare?
Sono molto affezionato al contesto in cui viene inserita questa domanda, mi piace molto il discorso sull’assurdità del fatto che i nonni, che sono i prossimi a perdere la memoria, siano quelli che la lasciano: parlano di più e raccontano più storie proprio perché c’è questo desiderio di depositare i loro ricordi come bagagli che vogliono lasciare a qualcuno. Per rispondere alla tua domanda, Wilmo non è un nonno a caso ma un nonno vero, un nonno acquisito: il nonno di mia moglie. Io ho sempre amato ascoltare storie, sin da piccolo, prima di iniziare a scrivere amavo già ascoltare le storie: un ascolto fine a sé stesso e non finalizzato ad elaborare, a scrivere. Purtroppo ho perso i nonni da piccolo, molti anni fa, ma ho avuto la fortuna di conoscere, anche se negli ultimissimi anni della sua vita, Wilmo. Devo infatti ringraziare mia moglie perché questo libro ha una parte personale e intima mia, ma soprattutto sua.
Marco, ci hai già fatto piangere mannaggia a te. Per Wilmo aver letto dei libri nel suo passato si rivela l’unico modo di conservare i ricordi. Nella tua esperienza di scrittore, scrivere di dimenticanza e oblio può essere un modo di non dimenticare nulla?
Oltre alla senilità Wilmo lotta contro una malattia tremenda che gli strappa via allo stesso tempo il contingente, il presente e il passato. Lui cerca di aggrapparsi con tutte le sue forze ai ricordi più importanti, quelli che riesce a raccontare solo ai suoi ospiti immaginari, cioè ai personaggi indimenticabili dei libri che ha letto. Il passaggio successivo è quello che lui tenta invano di compiere: metterli nero su bianco. Invano nel romanzo, ma non nella realtà. Il vero Wilmo, nonno di mia moglie, è riuscito in parte a farcela quando, negli ultimi mesi della sua vita me li ha raccontati. Io ne ho fatto tesoro cercando di appuntarli perché era quello che lui desiderava, ricordi frastagliati, ricordi che risuscitava e che riusciva a estrapolare da quel marasma. Scrivere di dimenticanze e oblio è un modo per non dimenticare nulla: a livello personale scrivere mi serve a questo, più che ricordare fatti e persone e sensazioni. È uno dei motivi principali per cui decido di scrivere. Spesso i racconti nascono da germogli di sensazioni e dal desiderio di approfondirli e mettersi all’ascolto di cos’è stata quella sensazione, cosa suscita. Ma quello che amo di più non è raccontare dell’oblio e della dimenticanza che mi affliggono o che affliggono anche il Wilmo personaggio, ma raccontare della perseveranza nel ricordare e del percorso difficile della memoria.
A un certo punto nella testa di Wilmo resta solo la letteratura, un insieme di storie che si intersecano con la sua e con la Storia con la S maiuscola. Ti va di raccontarci in anteprima questo rapporto con la Storia e come mai hai seguito questa pista?
Il rapporto fra Storia e Letteratura che emerge nel romanzo è il motivo che mi ha portato a scegliere questa storia, cioè il tentativo di soddisfare due miei desideri: dare concretezza alla storia che mi aveva raccontato Wilmo e far rivivere i personaggi letterari che ho sempre amato. Ho sempre avuto il pensiero di conoscere i personaggi letterari nati dalla penna di grandi autori: ogni volta che finisco di leggere un romanzo ho l’impressione intima di porre da qualche parte nella mia mente quel protagonista a fianco di altre persone che conosco. Così si mischiano, su qualche piano, le persone reali e quelle immaginarie che ho conosciuto solo tramite la lettura. Questa idea mi ha sempre portarto a ragionare su di loro, a visualizzarli e pensarli in contesti diversi da quelli conosciuti nel romanzo d’origine… che è un po’ quello che Wilmo ricorda. Ho immaginato i personaggi sotto altre vesti, come fossero in borghese. Non compaiono nella veste originaria né in senso letterale (ad esempio Giovanni Drogo de Il deserto dei Tartari non è in divisa, ma si trova in maglioncino e pantaloni di velluto), né nell’età originale, perché il tempo è passato anche per loro. Detto fra noi: facevo così anche da piccolo: piloti e robot erano miei amici. Più avanti con gli anni i personaggi dei romanzi continuavano a farmi compagnia anche quando il libro era chiuso e ora sono riuscito a rimanere in loro compagnia scrivendo di loro, un po’ come Wilmo.
Marco ora vogliamo sapere cosa ti dimentichi e cosa invece ti auguri sia indimenticabile.
Questa domanda non ha una bella risposta, io dimentico tutto nella mia vita quotidiana, ogni cosa! Più uso il taccuino come strumento per non dimenticare e meno esercito la memoria: non so cosa succederebbe se perdessi gli appunti che ho in ogni settore della mia vita quotidiana: decine di fogli aperti di appunti separati per manoscritti in corso, vecchi, Wilmo, idee per altri romanzi… scritti e registrati. Le idee aumentano costantemente e, nel periodo in cui riesco a elaborarle, trascriverle diventa un processo talmente minuzioso che non so quanto mi sia utile, ma ormai l’ho innescato da anni e non riuscirei a tornare indietro. Le sensazioni invece non le dimentico: è quello che mi resta, che non ho bisogno di appuntarmi. Spesso dei libri che ho letto e dei film che ho visto quello che mi rimane a distanza di tempo sono le sensazioni che ho provato, mentre leggevo una certa cosa e mentre vivevo una situazione. Per fortuna di sensazioni positive ne ho vissute tante e l'ultima di queste è la sensazione che ho provato quando Giulio mi ha mandato il file completo di Wilmo, ricorda, illustrato da Livia. La copertina, il titolo, i ringraziamenti finali, quando l’ho visto finito è stata veramente un’emozione che non pensavo avrei provato perché già sapevo, avevo già visto, spezzettato, tutto quanto. Mille volte ne abbiamo parlato e mille volte l’abbiamo rivisto insieme. Conoscevo i disegni, le illustrazioni, sapevo già cosa c’era dalla prima pagina all’ultima, ma vederlo tutto insieme è stata l’ultima delle mie emozioni che sicuramente non dimenticherò.
Grazie mille, Marco. Ci vedremo sicuramente nel tour di presentazioni che accompagnerà l’uscita del libro.
Mi sono dimenticata come ci salutiamo di solito, ah sì!
Benedizioni vecchiette,
Benedetta Marinelli
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